MARINA D’AMATO Professore emerito di sociologia – Università RomaTre
Quella sera a casa sua… Una serata, di rivelazione e di bellezza il racconto di una vita e di un’epoca solo con le note.
Accade spesso di conoscere qualcuno che si racconta, per episodi, per emozioni, per eventi che gli sono accaduti e di solito accogliamo con curiosità o con gentilezza le storie degli altri tuttavia se ci infastidiscono perché lunghe, noiose o indecorosi decidiamo di non continuare quella relazione; se invece qualcosa di quel racconto tocca il nostro cuore o la nostra mente si diventa amici. Per creare il magico legame dell’amicizia o dell’amore è indispensabile sapere da dove si viene, che strada si è fatta, e perché.
Giancarlo Lucariello, non parla di sé, interroga con lo sguardo e con la parola chi gli sta di fronte, scruta e sceglie, ormai lo conosco da anni, o perlomeno credevo di conoscerlo bene. Sapevo molto di lui; avevo ascoltato qualche sua composizione, avevo intuito quanto e come la musica fosse un tutt’uno con la sua vita, avevo letto il suo libro[1] ed avevo imparato dai suoi accenni a conoscere un “mestiere” di cui non avevo nozioni prima di allora. Non potevo immaginare che quella sera sarebbe stata una rivelazione, un vero Coup de Theatre! Eravamo poche amiche di fronte a lui seduto dietro la sua scrivania in Art Déco che aveva trasformato in una postazione di regia. Noi componevamo una platea, non solo perché eravamo sedute sul divano rosso accanto a tende di velluto dello stesso colore che insieme alle poltrone avevano creato una scenografica in cui luci ed ombre ben studiate contribuivano a creare una distanza tra noi (pubblico) e lui, perché Giancarlo, era diventato il Maestro. Annunciò la sua opera, divisa in tre atti come le stagioni della vita, ne tratteggiò il senso, ed in confidenza ci dichiarò il motivo e la finalità di quella sua nuova opera, interpretata da un artista e dal suo sublime canto. Sicuro di sé e sereno, era contento di condividere un lavoro che lo aveva coinvolto completamente, l’idea dell’opera nacque quando apri i cassetti dei suoi studi e delle sue composizioni inedite che riunì tessendole in un’unica tela i pezzi salienti della sua vita.
Questa premessa intima, fu il prodromo dell’opera che non mi sarei mai aspettata. Avremmo ascoltato una serie di brani che riportavano alla smagliante cultura popolare dell’opera lirica, soprattutto alle sue romanze quelle che da Donizetti, a Bellini a Verdi e Puccini avevano pervaso la cultura italiana, offrendo all‘umanità il bel canto.
Era stato annunciato prima dell’ascolto questo preludio per immergerci nell’altro grande tema, la musica e la sua famiglia. L’ascolto delle composizioni giovanili, che la musica traduceva in segni di speranza e delusione, il tempo della maturità, che nel caso di Giancarlo Lucariello è stato il successo riconosciuto dai critici e conclamato dagli ascolti del pubblico e poi la fase della riflessione, quella in cui si tirano le fila di una vita professionale e personale riconnettendola all’essenziale dell’esistenza.
Il susseguirsi dei brani con questa logica è il racconto di una vita, raccontata con le note: la giovinezza con le sue tensioni e speranze, la maturità con i suoi dolori e gioie, ed il raggiungimento della pienezza con la conquista della serenità interiore. Le musiche traducevano questo percorso, ma anche si intuiva una costante ricerca di esprimere la bellezza.
È un luogo comune quello di attribuire ad un brano musicale la responsabilità di essere la colonna sonora di qualche vita, di una generazione intera o di un tempo della storia. In questo caso ciò che creava uno spaesata ammirazione era la possibilità di percepire il cambiamento nel tempo di un individuo e la sua evoluzione nel contesto sociale nello specchio delle sue nove romanze senza tempo.
Chiunque, anche non conoscendo personalmente Giancarlo Lucariello può, con l’ascolto di questa opera in tre atti cogliere l’evoluzione di una tensione emotiva verso la ricerca dell’armonia e della bellezza.
L’opera mette in scena la parabola dell’amore: filiale, amoroso, amicale, sociale, perché nel primo atto si racconta di un figlio, che rispetta, ammira e ama suo padre; nel secondo di un uomo in cerca di felicità che prova anche dolore e solitudine; nel terzo di una persona che nella maturità riconosce l’essenziale del suo percorso ritrovando anche il legame con il figlio.
Non è un caso che Giancarlo concluda questa produzione con un inno – canzone-romanza che si chiama “un mondo in cui credere”, perché chi ha fede come lui non si abbandona all’analisi dell’implosione della nostra società contemporanea, ma propone con la speranza di una recrudescenza dei valori del bene, una società in cui la fratellanza e la solidarietà siano le basi di una bellezza armoniosa che la musica può interpretare ed esprimere.
In questo caso l’opera in tre atti di una persona che da Napoli dove è nato, si trasferisce a Roma poi a Milano dove raggiunge il successo, e in ultimo il ritorno a Roma non è solo la parabola di Giancarlo, ma è anche il racconto di un’epoca in cui rapidamente sono cambiati i valori, i miti, ed i modelli di comportamento fondanti della nostra comunità italiana.
[1] Giancarlo Lucariello. Una Melodia Infinita – Ritratto del nostro tempo migliore. Baldini+Castoldi Srl, Milano 2021.