
È nato a Mergellina il produttore che ha portato al grande successo la band e poi Fogli («Storie di tutti i giorni») Togni («Luna») e Bosè («Bravi ragazzi»). Oggi, a 76 anni ha voglia di «Bel canto»: «Omaggio a Napoli ea mio padre»
Di Federico Vacalepre
Il grande pubblico, inevitabilmente, non conosce Giancarlo Lucariello, ma i meno giovani hanno a casa parecchi dischi con il suo nome stampato sopra. Tutto inizia con una frase ai Pooh di «Piccola Katy»: «Farò di voi la più grande band italiana».
Ma davvero non sapevi nemmeno in che cosa consistesse il lavoro di un produttore discografico quando ti proponesti al gruppo?
«Sì, li avevo visti in un locale di Roma e me ne ero innamorato, avevo pensato subito: “Un giorno li produrrò”, ero invaghito di quella parola, “produttore”, che accompagnava Phil Spector sui vinili, ma cosa significasse, che cosa facesse un produttore davvero non lo sapevo».
Vabbè, facciamo un salto indietro. Dove inizia tutto?
«A Napoli, Mergellina, anche se rimango poco in quella che rimane la mia città, a 5-6 anni seguo la famiglia a Roma e torno solo per le feste comandate, il presepe, gli struffoli…».
E la musica?
«Ero un impiegato della Cgd, mi avevano assegnato il compito di ascoltare gli lp stranieri e vedere se c’era qualcosa da lanciare come 45 giri. Segnalai “All the time in the world” di Louis Armstrong che fu un successone e ebbi una certa credibilità che incassai subito proponendomi come produttore. Così trovai il coraggio di contattare i Pooh».
Come?
«Al telefono, mi proposi a Roby Facchinetti e Riccardo Fogli, in qualche modo convinsi loro e anche gli altri».
Come cambiasti le loro carriere?
«Guidandole, spingendoli ad usare l’orchestra sinfonica, ad adottare una professionalità che è stato il loro marchio. Disegnavo le profondità del suono che avevo in testa, non sapendoli scrivere, ma in qualche modo il mio messaggio arrivava».
«Tanta voglia di lei» e «Pensiero» danno il beneplacito alla collaborazione, poi arriveranno album come «Opera prima», «Alessandra», «Parsifal». Quando si scassano le giarretelle?
«Dopo cinque-sei album: ci siamo lasciati civilmente, loro erano cresciuti ed avevano bisogno di libertà».
E tu, ormai, sapevi fare il produttore, tant’è che firmi in quella veste «Comprami» di Viola Valentino (1979), «Luna» di Gianni Togni (1980), «Bravi ragazzi» di Miguel Bosè (1982), «Acquarello» di Toquinho (1983), «Sorrisi» dei New Glory (1985) che divenne la sigla di «Sorrisi e canzoni» e dei Telegatti…
«Sì, quello è un momento di grande lavoro, provo anche a lanciare Alice, che non si chiama più Carla Bissi, avevo in mente una formula voce e pianoforte, pensavo a Carlo King, ma arriverà Battiato a lanciarla meglio di me».
Poi, a un certo punto, il tuo nome sparì dai dischi che stavano in classifica. Che succede?
«Ogni generazione ha la sua musica e i suoi hit, io avevo fatto il mio, volevo dedicarmi ad altre passioni, come la musica classica, o il teatro musicale, anche se ogni tanto un graffio alla mia maniera lo davo, pensa a “Strano il mio destino” di Giorgia. Intanto scrivo libri, sto finendo il secondo, per raccontare e raccontarmi, e scommetto su un progetto che forse solo ora vede davvero la luce».
Parli delle «Romanze senza tempo» affidate alla voce di Luca Notari.
«Sono 15-20 anni che ho scoperto la sua ugola e con Maurizio Fabrizio avevo buttato giù i provini di queste canzoni: sono così tanto senza tempo che è arrivato il tempo di farle uscire, grazie all’etichetta NAR».
Titoli come «Belcanto» o «Golfo mistico» guardano alla lirica più che al pop.
«Sì, per questo parlo di romanze. “Bel canto” è il mio omaggio a Napoli, a mio padre. E Luca è il gladiatore che può riportare un po’ di musica nella musica italiana».
Pare di capire che quella che ci gira intorno non ti piaccia granché,
«No, ma, lo dicevamo prima, ho un’altra età. Capisco che ai ragazzi piacciano altri suoni, ricordo che nel 1958 io impazzii per Modugno che apriva le braccia al cielo e cantava “Nel blu dipinti di blu” e mio padre prese quella canzone come qualcosa di non ortodosso, di scandaloso. Per me Mimmo è stato importante per l’Italia quanto lo sono stati i Beatles per l’Inghilterra. Ecco, diciamo che non so quanti dei big del momento dureranno quanto è durato Mister Volare».
Lo showbusiness non è un pranzo di gala. Hai avuto veri amici in questo campo?
«Roby Facchinetti e Maurizio Fabrizio: un Pooh ed un grandissimo compositore, (“Storie di tutti i giorni”, “Almeno tu nell’universo”, “I migliori anni della nostra vita”, «Strano il mio destino”…): lui al mio fianco c’è sempre. Ma tra gli autori del disco di Notari ci sono anche Vincenzo Incenzo (al fianco di Zero e Zarrillo) e Guido Morra. L’opera ha reso famosa nel mondo l’Italia, è patrimonio immateriale dell’umanità per decisione dell’Unesco. Vediamo se questo vecchio produttore riesce a metterne in circolazione qualcuna nuova».