Il libro si intitola “Una melodia infinita. Ritratto del nostro tempo migliore”. E il titolo contiene due verità: quella che rimanda alla infinita melodia dei Pooh, destinata nel bene e nel male a rimanere per sempre con noi, e quella che rimanda a un ‘tempo migliore’, quello degli anni della collaborazione di Giancarlo Lucariello, autore del libro, con i Pooh stessi. Un libro che è a metà tra l’autobiografia e la favola, perché l’avventura di Lucariello nella musica e con i Pooh ne ha i contorni, talmente leggendaria e particolare è stata. Ma ha anche i toni del saggio, per merito sia dello scritto di Andrea Pedrinelli, uno dei massimi storici dei Pooh, e che di quelli firmati da Marco Betta e Marcello Aitiani. Un libro che Lucariello si è deciso a scrivere dopo molte indecisioni: “Era molto tempo che in tanti mi chiedevano di farlo, ma io non ero convinto”, ci dice Giancarlo Lucariello, “penso che spesso i libri “dietro le quinte” non servono a niente, sono fatti di nozioni, nomi, date, che annoiano, e non ci ho quindi mai creduto. Poi è arrivata la pandemia, l’avanzare dell’età e siccome di quel periodo della mia vita sono molto orgoglioso, ho pensato che avevo bisogno di raccontarmi e confessare come ho fatto questo lavoro, lasciare un segno anche per la mia famiglia, fare qualcosa che raccontasse anche un po’ il mio tempo. Poi l’idea è sbocciata, anche per gli stimoli di Marco Betta, ho iniziato a scrivere e appena inviato le prime cose a Elisabetta Sgarbi, lei mi ha detto che lo voleva pubblicare. L’ho completato, ho chiesto a due miei amici, colti, appassionati di musica e arte, amanti di quel periodo li, di aggiungere qualcosa, e piano piano il libro, in un anno circa, ha preso forma”.
E’ la prima volta che si mette così apertamente in primo piano.
“Ho faticato molto, ho parlato di cose che non ho mai detto, io sono un tipo riservatissimo. Ma è stato bello tornare indietro a quando ho iniziato, da ragazzo e sognavo di essere come Phil Spector. Riservato lo sono ancora adesso, per tanti anni mi sono vergognato, non volevo apparire, e adesso quando vedo il servizio fotografico bellissimo fatto per l’ufficio stampa, mi imbarazzo ancora un po’”.
Ma, capiamo, l’emozione dello scrivere e del ricordare è stata maggiore…
“Tanta emozione, e tanta fatica nel ricordare anche le cose più difficili, i dolori. A Milano ho sofferto, quando sono arrivato, io ero cresciuto con la rigida educazione dei miei genitori e mi chiamavano ‘il romano fighetta’. Perché ero puntuale, rigido, severo, ho sempre chiesto tanto a me stesso e agli altri, ho sempre deciso cosa volevo fare e come. Ho avuto la fortuna di vendere un milione e passa di copie con il primo singolo, avendo tanto successo, ma a Milano c’era anche tanta solitudine. Quando ho ritrovato il cielo di Roma ho ritrovato anche la mia vita”.
E soprattutto la condivisione con i Pooh…
“Roby soprattutto, ma anche con gli altri. La composizione è alla base di tutto e io lavoravo a stretto contatto con Roby. Io sono sempre intervenuto nella creatività della composizione, non sono un uomo di studio e basta. E sono sempre stato così, anche dopo i Pooh, nel rapporto strettissimo con Maurizio Fabrizio”.
Chi le ha dato la spinta a portare a termine il libro?
“Innanzitutto la mia compagna, lo leggeva, si emozionava e mi diceva di andare avanti. E poi mio figlio, che adoro. Nel libro c’è tanto di me, della mia piccola famiglia e della mia vita”.
E c’è la verità dei Pooh…
“Si, l’ambizione era quella di fare un racconto più ampio, l’ambizione era quella di entrare a fondo nella storia. Senza questo libro non si può sapere come è nata l’avventura dei Pooh. Com’è andata lo sa Roby, ma gli altri non conoscono la storia così a fondo”.
Ernesto Assante, Media Trek su Repubblica Blog