L’EREDITÀ DI UN CUORE IMMENSO
John (Cederna) a Lennon (Ingrassia) - monologo sul Padre
Adesso te la racconto io una storia… Il posto dove siamo nati era una fogna.
Ma non possiamo lamentarci perché c’era chi stava molto peggio di noi.
Non c’è mai mancato nulla. Tranne…tranne loro. I nostri genitori sono scomparsi, spariti, uno dopo l’altro… Non si sentivano pronti, avevano paura di un figlio…
Ti ricordi bene cosa successe? Ti ricordi quel giorno caldo di luglio, a Blackpool?
Il giorno prima c’era stata quella lunga passeggiata con papà, sul lungomare.
Era bello camminare a piedi nudi sulla sabbia bagnata e vedere le impronte dissolversi al passaggio delle onde, e poi tutta quella schiuma che arrivava all’improvviso
e noi che facevamo a gara a chi era il più bravo ad evitare l’acqua. Te lo ricordi?
E poi siamo saliti in alto, in alto sulla torre di ferro, e da lì si vedeva tutto il paese, il mare,
le barche in lontananza e lì in cima tu hai detto a papà: “Voglio stare con te per sempre”,
e lui ti ha risposto che ti avrebbe portato con sé nel prossimo viaggio, su una grande nave che doveva attraversare il mondo…
Quando papà ci parlava dei suoi viaggi, il nostro volto si illuminava,
e in quei momenti abbiamo pensato che era bello avere un padre così, libero, allegro.
E adesso lui era lì con noi per tutta l’estate…
Stare da soli con papà che faceva le boccacce,
scherzava e rideva con quella sua voce profonda ma allegra.
Pensa, giocare con lui tutto il giorno e poi la sera andare al pub tra i grandi,
arrampicarsi sullo sgabello fino al bancone, provare a bere la birra dal suo bicchiere e sporcarsi il naso di schiuma e poi la visita al grande mulino, al tramonto. Te la ricordi?
Il sole era un’arancia che si schiacciava piano piano, non finiva mai.
Era tutto rosso, il cielo, le nuvole,gli scogli, tutto rosso,anche dopo che il sole se ne era andato da un pezzo. Erano stati dei giorni fantastici quelli. Noi eravamo felici, felici.
Il giorno dopo suonarono alla porta. Erano le tre del pomeriggio. “Vai tu”, disse papà.
Era la mamma, la mamma con il suo amico, uno che sorrideva, sorrideva sempre.
La mamma disse che si era sistemata e che adesso era pronta, era finalmente pronta a farci da madre. “Sono venuta solo per riprendere mio figlio”, disse.
E se ne stava lì, sulla porta a braccia aperte con il suo grande sorriso.
“Vieni Johnny, vieni dalla tua mamma, Johnny”. Sì, ma noi stavamo partendo, ricordi?
Noi dovevamo andare in Nuova Zelanda con papà. Avevamo deciso!
Allora papà la fece entrare e si mise a parlare con lei.
“Vieni anche tu”, disse, “in quella terra c’è spazio, ci sono possibilità di lavoro,
andiamoci insieme, ricominciamo da capo, io e te.
Andiamocene via da questo paese dove non riesco a vivere”.
Ma lei rispose che era finita, finita. Era finita, lo sapeva che era finita.
Quattro volte lo disse. “Fai quello che vuoi, ma non portarmi via mio figlio, è mio”.
E allora cominciarono a urlare, a insultarsi a vicenda.
E per un attimo tu sei riuscito a sentirti felice. Sì… felice che ognuno volesse stare con te, che stessero addirittura litigando per te.
Ma più urlavano più non si capivano e il suo amico sulla porta continuava a sorridere.
E allora tu ti sei sentito in colpa per quello che avevi appena pensato,
perché tu li avresti voluti tutti e due per te, insieme, felici, sorridenti,
mentre quelli si stavano quasi picchiando facendoti sentire una marionetta,
un pupazzo, una specie di orfano.
E a quel punto papà ha fatto una cosa che non avrebbe dovuto fare,
ti ha chiamato e ti ha fatto sedere sulle sue ginocchia,
sorrideva e tu hai pensato: “Forse si sono messi d’accordo,
forse hanno fatto la pace e l’hanno fatta proprio per me”.
Invece papà ha detto: “Decidi tu, dai. Decidi tu, sei abbastanza grande.
Decidi tu con chi vuoi stare, avanti”.
E’ vero eri abbastanza grande, avevi cinque anni e ci hai pensato.
Sì, hai pensato al mare, hai pensato alle grandi navi che salpavano dal porto di Liverpool, hai pensato alle onde dell’oceano, alle balene, ai delfini,
hai pensato alle storie che papà ti raccontava per farti addormentare e hai risposto:
“Voglio stare con papà Freddy, voglio stare con papà Freddy,
voglio stare con papà Freddy, voglio stare con papà Freddy.”
Lo hai ripetuto fino allo sfinimento,
anche quando la mamma si è messa in mezzo e ti ha chiesto:
“Con chi vuoi stare Johnny? Guardami, guarda la mamma”.
“Voglio stare con papà Freddy”.
A quel punto è stata lei a fare una cosa che non avrebbe dovuto fare.
Ha preso la porta e se ne è andata di corsa senza dire una parola,
senza guardarti, senza nemmeno salutarti. Non ha detto nulla.
Il suo amico le ha aperto la portiera, l’ha fatta salire e ha acceso il motore.
E allora tu sei scappato, sei scappato dalle braccia di tuo padre,
hai corso fino alla macchina, hai aperto lo sportello,
ti sei aggrappato a lei e hai cominciato a piangere, a piangere a dirotto,
come non avevi mai pianto in vita tua. Ricordi?
Hai smesso solo quando ormai eri a casa con lei.
E tuo padre era rimasto lì, sul gradino davanti alla porta di casa che guardava il cielo.
Te lo ricordi questo? Te la ricordi la faccia di tuo padre mentre ci vedeva andare via?
Tu hai dimenticato tutto, io mi ricordo ogni singola frase, ogni sguardo,
io mi ricordo persino la forma delle nuvole che spuntavano dal finestrino
mentre ci allontanavamo per sempre da Blackpool, dalla Nuova Zelanda, da papà…